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lunedì 9 marzo 2015

(parentesi di me) missione in india 1

Quando si decide di partire per una Missione è difficile potersi preparare prima, perchè quello che scopri una volta arrivato là non si può raccontare a parole.
In queste righe non racconterò per filo e per segno cosa e dove siamo stati ma soprattutto quali emozioni questi luoghi e persone hanno fatto nascere in me.

Il viaggio verso la Missione delle Sorelle della Carità in India e, precisamente a Ranchi, avviene grazie alla collaborazione e al grande cuore di Suor Samuela (non a caso questo nome, circa un anno dopo, risuonerà ancora tra le mure di casa nostra sotto un'altra forma...), Madre Superiore dell'Istituto con sede a Novara e che ci accompagna insieme ad un eterogeneo gruppetto.
Quando io e mio marito siamo partiti, io avevo portato con me un quaderno, sicura di scriverci dentro chissà quante cose. E invece, al capo opposto del mondo, ho deciso di chiudere quelle pagine e di vivermi il viaggio.
Già affrontare un viaggio con 2 scali è stata una vera novità.
Dubai-Mombei-Ranchi.
Un decrescendo di opulenza che, ammetto, non ho patito più di tanto.


Arrivati all'aeroporto di Ranchi ci aspettano due Jeep, carichiamo i bagagli (anche sul tetto) e ci inoltriamo per le strade: non vige alcuna regola. Un sussegguirsi di bici, moto, risciò, animali, ape-pulmini, gente a piedi, camion si rincorrono e si schivano facendosi "il pelo" l'un l'altro. Io, che allora avevo la patente da poco perchè non amo (ancora oggi) guidare, rimango sconvolta... ogni secondo per me è un incidente. Mi rendo conto che fino ad allora io non ho mai visto il vero traffico.
E non ho mai visto così tante persone insieme sulla stessa strada.

Arriviamo davanti ad un cancello bianco, ci aprono dopo un po' perchè per noi viaggiatori c'è in serbo una sorpresa. Le "Sisters", ragazze giovani, semplici, carine e con due occhi e un sorriso che ti guardano dentro, si mettono in cerchio e ci cantano una canzone di benvenuto. Ci lavano ed asciugano le mani e ci incoronano con una splendida ghirlanda fatta da loro con tanti pon-pon e lustrini.
Con questa bella accoglienza mi commuovo... (è risaputo che ho le lacrime in tasca) perchè mi sono sentita più accolta lì che a casa mia tra parenti e amici di una vita.
Tra queste mura si respira aria di pace, si sente la presenza di Dio molto più qui che in qualsiasi altra Chiesa o Santuario.

 

La Casa delle Suore è semplice, sembra uno di quegli edifici degli anni '50, e per il nostro arrivo è addobbata a festa. Tutto il paesaggio attorno ricorda un po' il dopoguerra con la differenza che la guerra non c'è stata da poco... è così da sempre. E' come se ci fosse un filtro da cui alcune cose passano ed altre no. Tutto è la contraddizione di tutto, basta pensare che una persona povera, magari anche emarginata, ha un cellulare di ultima generazione ma vive in una baracca. Non esistono le fogne ma le pubblicità sui cartelloni fanno vedere il lusso, il benessere. Le Sorelle qui sono un punto di riferimento per la Comunità (un vero miraggio nel deserto) perchè offrono un servizio scolastico prima a 300 bambini poi a 500 con una nuova struttura (allora in costruzione, ora funzionante) ospitando anche un orfanotrofio e un laboratorio di donne che cuciono e producono artigianalmente manufatti tessili grazie all'Associazione Yatra.

Dopo aver posato i bagagli, io e mio marito, ci siamo intrufolati nella cucina e abbiamo "dato una mano" a pelare patate e a preparare la cena... loro erano velocissime... io una schiappa! Per comunicare non occorre sapere tanto la lingua, l'inglese lo parlano poco e anche con un accento particolare (e io sono una schiappa anche in quello). Ma ci si capisce, e se non ci intende... si ride!
Dopo cena qualche chiacchiera e poi viene l'ora di riposare nella nostra camera...



Al prossimo racconto!

2 commenti:

  1. Un viaggio indimenticabile, una sorpresa in ogni momento, nel cuore e nella mente per tutta la vita :)

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    Risposte
    1. Verissimo!!! E la cosa più bella è che questo viaggio l'ho fatto insieme a te! :*

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