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lunedì 2 novembre 2015

(parentesi di me): missione in india 11

Come ho già raccontato in altri post, Calcutta è una città calda, afosa, affollatissima e, purtroppo, dagli odori davvero pungenti. Se prima sembrava di essere avvolti da mille profumi (gradevoli e non) ora si è letterarmente assaliti.

foto dal web
La povertà presente nelle strade si tocca con mano, la gente VIVE per strada e in essa riversa non solo tutta la confusione del vociare/strombazzare dei veicoli ma anche azioni quotidiane come lavarsi, tagliare i capelli, vendere, cuocere cibo e fare montagne di spazzatura maleodorante. Tutti l'uno accanto all'altro, senza una divisione perchè lo spazio sembra non bastare mai.

foto dal web

Molti hanno sentito parlare dell'India, e in paricolare di Calcutta, grazie al libro "La città della gioia" scritto da Dominique Lapierre, dal quale è stato tratto anche l'omonimo film.
Ma lo scrittore francese, amico di Madre Teresa, non si è limitato a scrivere un romanzo, ha contribuito e realizzato moltissimi interventi a favore dei più poveri. La "Città della Gioia" esiste veramente, è un luogo fisico, una sorta di quartiere fatto di baracche dove hanno asilo tutte le persone che necessitano aiuto (lebbrosi, poveri, orfani, malati). Noi siamo andati a cercarla.
Nonostante chi ci avesse accompagnato ci fosse già stato in precedenza (anni prima), le stradine interne di Calcutta sono un vero e proprio labirinto, non è facile districarsi e non è facile comunicare nè con l'autista (che parla un dialetto diverso dalla "Nostra Sister") nè con le persone del posto.
Anzi, quando si accenna alla "City of Joy", sembra proprio che non sappiano cosa e dove sia oppure ci liquidano con dei "no, no, no" e con dei gesti per allontanarci.
Sembra che la vogliano nascondere, che non vogliano far vedere a chi viene da "fuori".
Alla fine, continuando a girovagare per un'oretta e mezza circa, non riusciamo a trovare un'indicazione giusta e ci dirigiamo verso l'aeroporto per prendere il volo che ci riporterà a Ranchi.
Nel viaggio sul pullmino scorgiamo altri quartieri fatti di baracche, perchè l'India è  al 99% così... Quegli occhioni di bambini con i capelli arruffati che ti guardano dentro, parlano più di qualsiasi altra cosa. E non serve sapere la lingua per immaginare la vita di uno di loro.
Ancora una volta mi sento impotente, incapace di poter dare un'aiuto concreto a queste persone. Non capisco come in un paese ci possa essere una spaccatura così grande con divari sociali che cambiano dal giorno alla notte, o sei ricco o sei poverissimo. Un paese di contraddizioni, forse proprio perchè è così grande.
Se poi penso che io ho casa, corrente, acqua, auto, non mi manca nulla... faccio un lavoro che ho scelto, non faticoso e praticamente inutile al prossimo, soprattutto in un contesto come l'India, allora mi accorgo che il mondo è diviso male... con dei filtri che non fanno arrivare informazioni in alcuni luoghi della terra.
Poi in aeroporto ancora quella frase: "Welcome to the City of Joy"... sembra prendersi gioco di noi... noi che quella città l'abbiamo cercata, non rendendoci conto che, forse, quella povertà, ce l'avevamo sotto il naso.

foto dal web

2 commenti:

  1. Il mondo è veramente diviso male, cara Elisabetta, e "noi"(inteso come società) dovremmo ricordarci ogni giorno di quanto siamo stati fortunati a trovarci "da questa parte"...
    Buona settimana! :)

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    1. Verissimo Regina! Quando si vedono in tv i reportage ci si rende conto del disagio, ma quando lo tocchi con mano e lo vedi con i tuoi occhi... sono cose che ti rimangono dentro e ti fanno scattare quel qualcosa dentro. Ecco perchè non mi stanco mai di ricordare questo viaggio, di riviverlo e di raccontarlo, perchè non ci si piange più addosso per stupidate e si comprende quando davvero siamo fortunati. Un abbraccio Eli

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